di Silvana Ranza
L’infinita trappola della moda democratizzata. La moda, che dovrebbe essere un’arte, una forma di espressione, si è trasformata in un mostro divoratore. Un mostro che ci ha sedotti con l’illusione di un accesso universale, ma che in realtà ci ha schiacciati sotto il suo tallone di avidità e indifferenza
La promessa di prezzi contenuti, accessibili a tutti, sembra un’opportunità irrinunciabile. Ma, ahimè, le conseguenze sono ben più oscure e impensabili di quanto si possa immaginare. Sono sbalordita dall’enorme quantità di capi di abbigliamento che vengono prodotti ogni anno, pari a 170 miliardi nonostante la popolazione mondiale sia di circa 8 miliardi.
Ancora più inquietante è il fatto che 25 miliardi di questi indumenti finiscano direttamente in discarica o bruciati senza nemmeno essere mai stati indossati. Sono capi nuovi, ancora con l’etichetta, che vengono gettati via senza che nessuno li abbia mai apprezzati o goduti.
Pensate che l’industria tessile utilizza volumi di acqua insostenibili, 11 mila sono i litri necessari per produrre un kg di cotone mentre se parliamo di emissioni di carbonio nell’atmosfera il settore è responsabile del 10% del totale di quelle globali, esattamente quanto l’intera Unione europea inclusi tutti i trasposti aerei e marittimi. E non sorprende se si pensa che ogni secondo viene bruciato o gettato in discarica l’equivalente di un camion di vestiti.*
Le industrie tessili riversano tonnellate di sostanze tossiche nell’ambiente, inquinando fiumi e mari, distruggendo gli ecosistemi senza pietà.
Ma non è solo l’ambiente a pagare il tributo di questa follia. C’è un costo sociale altrettanto insostenibile. Dietro i prezzi bassi si celano lavoratori sfruttati, spesso in condizioni disumane, costretti a ritmi di lavoro estenuanti per soddisfare la nostra fame insaziabile di tendenze. Le fabbriche del terzo mondo diventano prigioni moderne, in cui uomini, donne e persino bambini sono imprigionati nella spirale dell’indigenza e dell’oppressione.
Solo attraverso un cambiamento radicale delle nostre abitudini di consumo e una riforma profonda dell’industria della moda possiamo sperare di porre fine a questa folle corsa verso la distruzione. È tempo di ripensare il nostro rapporto con l’abbigliamento, di abbracciare una moda più responsabile e di porre fine allo spreco insensato che ci circonda.
[*dati verificati]